Kerry sedette e indicò una poltrona. «Questo non prova niente. Vieni qui e sta a vedere. Per ora non bere. Ti... ehm, ti senti perfettamente normale?»

«Sicuro. Allora?»

Kerry tirò fuori una sigaretta. Il radiofonografo attraversò il soggiorno, prese una bustina di fiammiferi lungo il percorso e offri educatamente la fiammella. Poi tornò al suo posto contro il muro.

Fitzgerald non disse nulla. Dopo un po' tirò fuori una sigaretta dalla tasca e attese. Non successe niente.

«Ebbene?» chiese Kerry.

«È un robot. È l'unica spiegazione possibile. In nome del Petrarca, dove l'hai trovato?»

«Non mi sembri molto sorpreso».

«Lo sono. Ma ho visto altri robot... La Westinghouse ha provato a costruirli, lo sai. Ma questo...» Fitzgerald si babbé un'unghia sui denti. «Chi l'ha fabbricato?»

«Come diavolo posso saperlo?» ribatté Kerry. «I costruttori di radio, immagino».

Fitzgerald socchiuse gli occhi. «Aspetta un momento, non capisco...»

«Non c'è niente da capire. Ho acquistato il radiofonografo pochi giorni fa. Ho dato dentro quello vecchio. Me l'hanno consegnato oggi pomeriggio e...» Kerry spiegò quel che era accaduto.

«Vuoi dire che non sapevi che era un robot?»

«Precisamente. L'ho comprato per una radio. E... e... quel maledetto coso mi sembra quasi vivo».

«No». Fitzgerald scrollò la testa, si alzò ed esaminò scrupolosamente l'apparecchio. «È un robot di nuovo tipo. Almeno...». Esitò. «Che altro si può pensare? Ti consiglio di metterti in contatto con quelli della Mideaster, domani, e di controllare».

«Apriamolo e guardiamoci dentro», propose Kerry.

Fizgerald era d'accordissimo, ma l'esperimento risultò impossibile.

I pannelli, presumibilmente lignei, non erano fissati con le viti, e sembrava che non ci fosse un sistema per aprire il mobile. Kerry andò a prendere un cacciavite e lo usò, dapprima delicatamente, poi con una sorta di furore represso. Non riuscì a staccare un pannello, e neppure a scalfire la lucida vernice scura.

«Maledizione!» esclamò alla fine. «Beh, la tua ipotesi vale quanto la mia. È un robot. Ma non sapevo che li facessero così. E perché è una radio?»

«Non domandarlo a me». Fitzgerald alzò le spalle. «Accertatene domani. È la prima cosa da fare. Naturalmente, sono sconcertato. Se hanno inventato un tipo nuovo di robot specializzato, perché l'hanno messo in un radiofonografo? E che cosa fa muovere le gambe? Non sono a rotelle».

«Me ne sono meravigliato anch'io».

«Quando si muove, le gambe sembrano... elastiche. Ma non lo sono. Sono dure come... come mogano. O plastica».

«Quel coso mi fa paura», disse Kerry.

«Vuoi venire a dormire da me, stanotte?»

«N-no. No. Credo di no. Il... robot... non può farmi niente di male».

«Non credo che ne abbia l'intenzione. Ti ha aiutato, no?».

«Già», disse Kerry, e andò a preparare di nuovo da bere.

Il resto della conversazione fu inconcludente. Dopo alcune ore, Fitzgerald se ne andò a casa piuttosto preoccupato. Non era tranquillo come aveva finto di essere per non turbare Kerry. L'intrusione di una cosa tanto inaspettata nell'esistenza normale era sottilmente spaventosa. Eppure, come aveva detto, il robot non sembrava malintenzionato...

 

Kerry andò a letto, portandosi dietro il nuovo romanzo giallo. La radio lo seguì e gli tolse gentilmente il libro dalla mano. Istintivamente, Kerry cercò di riprenderlo.

«Ehi!» disse. «Cosa diavolo...»

La radio tornò in soggiorno. Kerry la seguì in tempo per vederla riporre il libro sullo scaffale. Dopo un po', Kerry si ritirò, chiuse la porta a chiave e dormi d'un sonno inquieto fino all'alba.

In vestaglia e pantofole, uscì e andò a guardare il radiofonografo. Era tornato al suo posto, e sembrava che non si fosse mai mosso. Un po' pallido, Kerry si preparò la colazione.

Poté bere una sola tazza di caffé. La radio comparve, gli tolse dalla mano la seconda tazza e la vuotò nel lavandino.

Per Kerry Westerfield questo fu troppo. Prese cappello e soprabito e uscì di casa quasi di corsa. Aveva il terrore che la radio lo seguisse, ma non lo segui, fortunatamente per la sua ragione. Cominciava a essere preoccupato.

Quella mattina trovò il tempo di telefonare alla Mideastern. Il venditore non sapeva niente. Era un modello normale... il più recente. Se non andava bene, certo, avrebbe potuto...

«Va benissimo», disse Kerry. «Ma chi l'ha fatto? È quello che vorrei sapere».

«Un momento, signore». Ci fu una pausa. «È uscito dal reparto di Mr. Lloyd. Uno dei nostri capireparto».

«Mi faccia parlare con lui. per favore».

Ma Lloyd non fu di grande aiuto. Dopo averci pensato parecchio, rammentò che l'apparecchio era stato messo in magazzino senza numero di serie. Era stato aggiunto dopo.

«Ma chi l'ha fatto?»

«Non saprei. Posso accertarlo, credo. La richiamerò io».

«Non lo dimentichi», disse Kerry, e tornò in aula. La lezione sul Venerabile Beda non andò troppo bene.

 

A pranzo vide Fitzgerald, che sembrò sollevato quando Kerry si avvicinò al suo tavolo. «Hai scoperto qualcosa di nuovo sul tuo robot?» chiese il professore di psicologia.

Non c'era nessuno che potesse sentirli, lì vicino. Kerry sedette con un sospiro e accese una sigaretta. «Niente. È un piacere poterlo fare da solo». Aspirò il fumo. «Ho telefonato alla ditta».

«E allora?»

«Non ne sanno niente. Solo che non aveva il numero di serie».

«Questo potrebbe essere significativo», disse Fitzgerald.

Kerry gli riferi l'episodio del libro e quello del caffè, e Fitzgerald guardò fisso il suo bicchiere di latte. «Ti ho fatto qualche esame psicologico. Troppa stimolazione non ti fa bene».

«Un romanzo giallo!»

«È un'esagerazione, d'accordo? Ma posso capire perché un robot si è comportato così... anche se non so come ci sia riuscito». Fitzgerald esitò. «Se non è intelligente, voglio dire».

«Intelligente?» Kerry si inumidì le labbra. «Non sono tanto sicuro che sia soltanto una macchina. E io non sono pazzo».

«No, non sei pazzo. Ma hai detto che il robot era in soggiorno. Come poteva sapere quel che stavi leggendo?»

«Non riesco a immaginarlo, a meno che abbia la vista ai raggi X, una capacità fulminea di lettura e facoltà di assimilazione. Forse non vuole che io legga niente».

«Hai detto poco!» borbottò Fitzgerald. «Sai qualcosa delle macchine teoriche di quel tipo?»

«I robot?»

«Puramente teorici. Il tuo cervello è un colloide, lo sai. Compatto, complicato... ma lento. Immagina di creare un congegno con un'unità di molti milioni di radioatomi chiusa in materiale isolante... il risultato è un cervello, Kerry. Un cervello con un enorme numero di unità che interagiscono a velocità della luce. Una valvola radio regola il flusso della corrente, quando funziona, al ritmo di quaranta milioni di segnali diversi al secondo. E teoricamente un cervello radioatomico del tipo che ho detto potrebbe includere percezione, riconoscimento, considerazione, reazione e adattamento in un centomillesimo di secondo».

«In teoria».

«È quel che pensavo. Ma mi piacerebbe sapere da dove è arrivata la tua radio».

Un fattorino si avvicinò. «Una telefonata per Mr. Westerfield».

Kerry si scusò e usci. Quando tornò, aveva un'espressione perplessa.

«Era un certo Lloyd, della fabbrica Mideastern. Avevo parlato con lui per la radio».

«Scoperto qualcosa?»

Kerry scosse la testa. «No. Beh, non molto. Non sa chi l'abbia costruita».

«Ma è stata costruita in fabbrica».

«Sì. Circa due settimane fa... ma non risulta chi l'abbia fatta. Lloyd aveva l'aria di pensare che era molto strano. Se una radio viene costruita in fabbrica, loro sanno chi l'ha montata».

«E allora?»

«E allora niente. Gli ho chiesto come si fa ad aprire il mobiletto, e mi ha detto che è facilissimo. Basta svitare il pannello che c'è dietro».

«Non ci sono viti», disse Fitzgerald.

«Lo so».

Si guardarono in faccia.

Fitzgerald disse: «Darei cinquanta dollari per sapere se quel robot è stato veramente costruito soltanto due settimane fa».

«Perché?»

«Perché un cervello radioatomico avrebbe bisogno d'addestramento. Anche per fare cose come accendere le sigarette».

«Mi ha visto accenderne una».

«E ha seguito l'esempio. Poi ha lavato i piatti... uhm. Induzione, immagino. Se quel coso è stato addestrato, è un robot. Se no...»

Kerry sbatté le palpebre. «Si?»

«Non so cosa diavolo sia. Ha con i robot la stessa parentela che noi abbiamo con l'eohippus. Ma credo di sapere una cosa, Kerry: è molto probabile che nessuno scienziato, al giorno d'oggi, ne sappia abbastanza per costruire un... un coso come quello».

«Stai parlando a circoli viziosi», disse Kerry. «È stato costruito».

«Uh-uh. Ma come... quando... e da chi? È questo che mi preoccupa».

«Bene. Io ha una lezione fra cinque minuti. Perché non vieni a casa mia, stasera?»

«Non posso. Devo tenere una conferenza. Ma dopo ti telefonerò».

Kerry gli rivolse un cenno di saluto e uscì, cercando di non pensarci più. Ci riuscì benissimo. Ma quella sera, mentre cenava solo al ristorante, cominciò a provare una certa riluttanza all'idea di tornare a casa. Uno gnomo maligno lo stava aspettando.

«Un brandy», disse al cameriere. «Anzi, un brandy doppio».

 

Due ore dopo, un tassì lasciò Kerry davanti alla porta di casa sua. Era notevolmente sbronzo. Vedeva girare tutto. Si avviò a passo malfermo verso il portico, sali i gradini con esagerata prudenza ed entrò.

Accese la lampada.

La radio gli andò incontro. I tentacoli sottili, ma forti come se fossero di metallo, si avvolsero delicatamente intorno a lui, tenendolo immobile. Kerry fu pervaso da una paura violenta. Si dibatté disperatamente e cercò di urlare, ma aveva la gola arida.

Dal pannello della radio scaturì un raggio di luce gialla che lo accecò, poi si abbassò, puntando al petto. All'improvviso, Kerry sentì un sapore strano sotto la lingua.

Dopo circa un minuto, il raggio si spense, i tentacoli si ritrassero e sparirono, e il radiofonografo ritornò nel suo angolo. Barcollando, Kerry raggiunse una poltrona e vi si lasciò cadere, deglutendo.

Era sobrio. E questo era impossibile. Quattordici brandy infiltrano nell'organismo una certa percentuale d'alcol. Non è possibile raggiungere uno stato di sobrietà con un tocco di bacchetta magica. Eppure era precisamente ciò che era successo.

Il robot... cercava di rendersi utile. Però Kerry avrebbe preferito restare sbronzo.

Si alzò, impacciato, passò davanti alla radio e andò alla libreria. Tenendo d'occhio l'apparecchio, prese il romanzo giallo che aveva tentato di leggere la notte precedente. Come aveva immaginato, la radio glielo tolse dalla mano e lo rimise sullo scaffale. Kerry, ricordando le parole di Fitzgerald, diede un'occhiata all'orologio. Tempo di reazione, quattro secondi.

Prese un volume dei racconti di Chaucer e attese, ma la radio non si mosse. Tuttavia, quando Kerry trovò un volume di storia, glielo tolse gentilmente dalle dita. Tempo di reazione, sei secondi.

Kerry trovò un testo storico grosso il doppio.

Tempo di reazione, dieci secondi.

Uh-uh. Quindi il robot leggeva i libri. Quindi aveva la vista a raggi X e reazioni superveloci. Santo cielo!

Kerry provò con altri libri, domandandosi quale era il criterio che guidava il robot. Alice nel Paese delle Meraviglie gli venne tolto dalle mani; le poesie di Millay no. Fece un elenco in due colonne, per consultarla in futuro.

Il robot, quindi non era soltanto un domestico. Era un censore. Ma quali erano i termini di confronto?

Dopo un po', ricordò la lezione che doveva tenere l'indomani, e sfogliò i suoi appunti. C'erano parecchi dati che richiedevano una verifica. Piuttosto esitante, Kerry trovò il testo che gli occorreva... e il robot glielo portò via.

«Aspetta un momento», disse Kerry. «Ne ho bisogno». Tentò di sottrarre il volume alla stretta del tentacolo, ma invano. Il radiofonografo non gli badò. Rimise tranquillamente il libro sullo scaffale.

Kerry restò lì a mordersi le labbra. Era un po' troppo. Quel maledetto robot era un censore. Si avvicinò furtivamente al libro, lo afferrò e corse in corridoio prima che la radio potesse muoversi.

La radio lo inseguì. Senti i passi smorzati dei suoi... dei suoi piedi. Kerry si rifugiò in camera da letto e chiuse la porta a chiave. Attese, con il batticuore, mentre la maniglia girava dolcemente.

Un tentacolo esilissimo si insinuò sotto la porta e cominciò a tastare la chiave. Kerry si precipitò a tirare il catenaccio. Ma fu inutile. Gli strumenti di precisione del robot, le antenne specializzate, lo fecero scivolare indietro; e poi la radio aprì la porta, entrò nella stanza e si diresse verso Kerry.

Kerry si senti preso dal panico. Con un grido soffocato lanciò il libro verso la radio che l'afferrò agilmente al volo. A quanto pareva non chiedeva altro, perché si girò e usci, dondolandosi goffamente sulle gambe elastiche e portandosi via il volume proibito. Kerry imprecò sottovoce.

Squillò il telefono. Era Fitzgerald.

«Allora? Come va?»

«Tu hai una copia di La letteratura sociale nei secoli di Cassen?»

«Non credo... no. Perché?»

«Allora me la procurerò domani in biblioteca». Kerry spiegò quanto era accaduto. Fitzgerald zufolò.

«Interferisce, eh? Uhm-uhm. Chissà se...»

«Quel coso mi fa paura».

«Non credo che voglia farti male. Hai detto che ti ha fatto passare la sbronza?»

«Già. Con un raggio di luce. Non è molto logico».

«Potrebbe esserlo. Una vibrazione equivalente al cloruro di tiamina».

«La luce?»

«La luce solare ha un contenuto vitaminico, lo sai. Ma non è questo l'importante. Sta censurando le tue letture... e a quanto mi sembra legge i libri e ha reazioni fulminee. Quell'aggeggio, qualunque cosa sia, non è semplicemente un robot».

«E lo dici a me?» fece cupo Kerry. «È un Hitler».

Fitzgerald non rise. Abbastanza seriamente propose: «Perché non vieni a dormire a casa mia?»

«No», rispose Kerry, ostinato. «Una radio non riuscirà a cacciarmi dalla mia casa. Piuttosto la farò a pezzi con una scure».

«Beh... Tu sai quello che fai, immagino. Telefonami se... se succede qualcosa».

«D'accordo», disse Kerry, e riattaccò. Andò in soggiorno e guardò freddamente la radio. Cosa diavolo era... e cosa stava cercando di fare? Di certo non era un semplice robot. E altrettanto certamente, non era viva nel senso in cui è vivo un cervello colloidale.

Stringendo le labbra, si avvicinò e azionò le manopole e gli interruttori. Il ritmo sincopato di un'orchestrina swing uscì dall'apparecchio. Provò con le onde corte... anche lì, niente di anormale. E allora?

Allora niente. Non c'era una spiegazione.

Dopo un po', Kerry andò a letto.

Il giorno dopo, a pranzo, portò la Letteratura sociale di Cassen per mostrarla a Fitzgerald.

«Dunque?»

«Guarda qui». Kerry sfogliò il volume e gli indicò un passo. «Questo significa qualcosa per te?»

Fitzgerald lesse. «Sicuro. Sostiene che l'individualismo è necessario per produrre la letteratura. Giusto?»

Kerry lo fissò. «Non saprei».

«Eh?»

«Mi sento la mente strana».

Fitzgerald si scarruffò i capelli grigi, socchiudendo gli occhi e scrutando attentamente l'amico. «Ripeti. Non capisco...»

Con rabbiosa pazienza. Kerry disse: «Questa mattina sono andato in biblioteca e ho letto questo brano. L'ho letto normalmente. Ma per me non significava nulla. Soltanto parole. Sai quel che succede quando sei intronato e hai letto troppo? Incappi in una frase con un mucchio di proposizioni subordinate, e non ci capisci niente. Beh, mi è successo lo stesso».

«Leggilo adesso», disse sottovoce Fitzgerald, spingendo il volume attraverso il tavolo.

Kerry obbedì e alzò la testa con un sorriso amaro. «Niente da fare».

«Leggi a voce alta. Lo seguirò insieme a te, parola per parola».

Ma fu inutile. Kerry sembrava assolutamente incapace di assimilare il senso del brano.

«Forse è un blocco semantico», disse Fitzgerald, grattandosi un orecchio. «È la prima volta che ti capita?»

«Sì... no. Non lo so».

«Hai lezione, questo pomeriggio? Bene. Andiamo a casa tua».

Kerry scostò il piatto. «D'accordo. Tanto non ho fame. Quando vuoi...»

Mezz'ora dopo stavano guardando la radio. Aveva l'aria innocua. Fitzgerald sprecò un po' di tempo tentando di asportarle il pannello, ma finì per desistere. Prese carta e matita, sedette di fronte a Kerry e cominciò a fargli domande.

A un certo punto s'interruppe. «Questo prima non l'avevi mai detto».

«L'avevo dimenticato, probabilmente».

Fitzgerald si batté la matita contro i denti. «Uhm. La prima volta che la radio si è comportata in modo strano...»

«Mi ha colpito gli occhi con una luce azzurra...»

«Non mi riferisco a questo. Che cosa ha detto?»

Kerry batté le palpebre. «Che cosa ha detto?» Esitò. «'Schema psicologico controllato e annotato', o qualcosa di simile. Ho pensato di essermi sintonizzato su una stazione e di aver captato parte di un programma di quiz o qualcosa del genere. Vuoi dire...»

«Le parole erano chiaramente comprensibili? In buon inglese?»

«No, adesso che ci penso». Kerry fece una smorfia. «Erano confuse. Le vocali erano molto forzate».

«Uh-uh. Bene, andiamo avanti». Provarono con un testo di associazione di parole.

Finalmente Fitzgerald si abbandonò contro la spalliera della poltrona e aggrottò la fronte. «Voglio confrontare questi risultati con gli ultimi test che ti ho fatto qualche mese fa. Mi sembra strano... maledettamente strano. Mi sentirei molto meglio se sapessi esattamente cos'è la memoria. Abbiamo lavorato parecchio sulla mnemonica... la memoria artificiale. Comunque, può darsi che non si tratti di questo».

«Eh?»

«Quella... macchina. O ha una memoria artificiale, o è stata addestrata alla perfezione, oppure è regolata su un ambiente e su una cultura diversi. Ha influito su di te... parecchio».

Kerry si umettò le labbra. «Come?»

«Ha impiantato blocchi nella tua mente. Non li ho ancora correfati. Quando l'avrò fatto, forse riuscirò a trovare una spiegazione. No, quel coso non è un robot. È molto di più».

Kerry tirò fuori una sigaretta; la radio attraversò la stanza e gliela accese. I due uomini la guardarono con un vago senso d'orrore.

«È meglio che tu venga a dormire con me stanotte», propose Fitzgerald.

«No», disse Kerry. E rabbrividì.

Il giorno dopo, Fitzgerald cercò Kerry a pranzo, ma non lo trovò. Telefonò a casa e gli rispose Martha. «Ciao! Quando sei tornata?» «Ciao, Fitz. Un'ora fa. Mia sorella aveva fatto tutto da sola e aveva messo al mondo un piccino senza aspettarmi... e così sono tornata». S'interruppe, e Fitzgerald si allarmò nel sentire il suo tono.

«Dov'è Kerry?»

«È qui. Puoi venire da noi, Fitz? Sono preoccupata».

«Che cos'ha?»

«Non... non lo so. Vieni subito».

«D'accordo», disse Fizgerald, e riattaccò mordendosi le labbra. Era preoccupato anche lui. Quando, poco dopo, suonò il campanello dei Westerfield, si accorse di avere i nervi scossi. Ma la vista di Martha lo tranquillizzò.

La segui in soggiorno. Fitzgerald guardò subito la radio, che non era cambiata affatto, e poi Kerry, che stava seduto immobile accanto a una finestra. Aveva un'espressione vacua, stordita. Le pupille erano dilatate. Sembrò riconoscere Fitzgerald soltanto poco a poco.

«Ciao, Fitz», disse.

«Come ti senti?»

Martha s'intromise. «Fitz, che cos'ha? Sta male?»

Fitzgerald sedette. «Hai notato qualcosa di strano in quella radio?»

«No. Perché?»

«Allora ascolta». Fitzgerald le raccontò tutto, e vide l'incredulità lottare con una riluttante comprensione sul viso di Martha. Alla fine lei disse: «Non riesco a...»

«Se Kerry tira fuori una sigaretta, quel coso gliela accende. Vuoi vedere come fa?»

«N-no. Sì. Credo di si». Martha aveva gli occhi sgranati.

Fitzgerald diede una sigaretta a Kerry. E la scena si ripeté.

Martha non disse una parola. Quando la radio fu ritornata al suo posto, rabbrividì e si avvicinò a Kerry. Lui la guardò con aria vaga.

«Ha bisogno di un medico, Fitz».

«Si». Fitzgerald non disse che forse un medico non avrebbe potuto far niente.

«È stato quel coso?»

«È più di un robot. E ha condizionato Kerry. Ti ho detto cos'è successo. Quando ho controllato il profilo psicologico di Kerry, ho scoperto che è alterato. Ha perso gran parte della sua iniziativa».

«Nessuno avrebbe potuto fabbricare quella macchina...».

Fitzgerald fece una smorfia. «Ci ho pensato. Sembra il prodotto di una civiltà molto evoluta, molto diversa dalla nostra. Marziana, forse. È talmente specializzato che può rientrare in una cultura molto complicata. Ma non capisco perché abbia l'aspetto di un radiofonografo della Mideastern».

Martha toccò la mano di Kerry. «È camuffato?»

«Ma perché? Tu eri una delle mie migliori allieve nel corso di psicologia, Martha. Considera la situazione logicamente. Immagina una civiltà in cui abbia il suo posto un simile aggeggio. Usa il ragionamento induttivo».

«Ci sto provando. Non riesco a pensare molto bene. Fitz, sono preoccupata per Kerry».

«Sto benissimo», disse Jerry.

Fitzgerald giunse le punte delle dita. «Non è tanto una radio quanto un controllore. Nell'altra civiltà, forse ogni uomo ne ha uno, o forse sono pochi ad averlo... quelli che ne hanno bisogno. Li tiene in riga».

«Annientando l'iniziativa?»

Fitzgerald fece un gesto d'impotenza. «Non so! Nel caso di Kerry ha funzionato. Con altri... non so».

 

Martha si alzò. «Non credo che dobbiamo continuare a discutere. Kerry ha bisogno di un medico. Dopo potremo decidere cosa fare di quello». E indicò il radiofonografo.

Fitzgerald disse: «Sarebbe un peccato sfasciarlo, ma...». La sua occhiata era significativa.

La radio si mosse. Uscì dal suo angolo con un'andatura ondeggiante e si diresse verso Fitzgerald. Mentre lui si alzava di scatto, i tentacoli saettanti scaturirono e l'afferrarono. Un raggio pallido puntò negli occhi dell'uomo.

Il raggio si spense quasi subito; i tentacoli si ritrassero e la radio ritornò al suo posto. Fitzgerald restò immobile. Martha era in piedi e si copriva la bocca con una mano.

«Fitz!». Le tremava la voce.

Lui esitò. «Si? Cosa c'è?»

«Come stai? Cosa ti ha fatto?»

Fitzgerald aggrottò leggermente la fronte. «Eh? Cosa mi ha fatto? Non...»

«La radio. Che cosa ha fatto?»

Lui guardò l'apparecchio. «Non funziona? Non sono molto bravo come radiotecnico, Martha».

«Fitz». Lei si avvicinò, gli strinse il braccio. «Ascoltami». Gli parlò, in fretta. La radio. Kerry. La loro discussione...

Fitzgerald la guardò stordito, come se non capisse. «Oggi devo essere proprio stupido Non comprendo quello che vai dicendo».

«La radio... lo sai! Hai detto che ha cambiato Kerry...» Martha s'interruppe, fissandolo.

Fitzgerald era decisamente sconcertato. Martha si comportava in modo strano. Curioso. L'aveva sempre giudicata una ragazza con la testa a posto. Ma adesso stava dicendo cose assurde. O almeno, non riusciva a capire il significato delle sue parole... non avevano senso.

E perché gli parlava della radio? Non funzionava bene? Kerry aveva detto che era stato un ottimo acquisto, con un'ottima tonalità e tutti i perfezionamenti più recenti. Per un attimo, Fitzgerald si chiese se Martha era ammattita.

Comunque, era in ritardo per la lezione. E lo disse. Martha non cercò di trattenerlo, quando uscì. Era pallida come un panno lavato.

 

Kerry tirò fuori una sigaretta. La radio si avvicinò e gli porse un fiammifero acceso.

«Kerry!»

«Sì, Martha?» La voce era spenta.

Lei fissò il... la radio. Marte? Un altro mondo? Un'altra civiltà? Che cos'era? Cosa voleva? Cosa stava cercando di fare?

Martha uscì dalla casa, andò in garage. Ritornò stringendo in pugno una piccola accetta.

Kerry rimase a guardare. Vide Martha avvicinarsi alla radio e alzare l'accetta. Poi scaturì un raggio di luce, e Martha svanì. Un po' di polvere ondeggiò nella luce del sole pomeridiano.

«Annientamento di essere vivente che minacciava di attaccare», disse la radio, impastando le parole.

Il cervello di Kerry sussultò. Si sentiva nauseato, stordito, orribilmente svuotato. Martha...

La sua mente... turbinò. L'istinto e il sentimento lottarono contro qualcosa che li soffocava. Poi, di colpo, le dighe cedettero, i blocchi scomparvero, le barriere caddero. Kerry gettò un grido rauco, inarticolato, e balzò in piedi.

«Martha!» urlò.

Lei era sparita. Kerry si guardò intorno. Dove...

Cos'era accaduto? Non riusciva a ricordarlo.

Sedette di nuovo in poltrona, massaggiandosi la fronte. Con la mano libera trovò una sigaretta, un gesto automatico che causò una reazione immediata. La radio si avvicinò, offrendogli un fiammifero acceso.

Kerry emise un suono strozzato e balzò dalla poltrona. Raccattò l'accetta e si avventò verso la radio, con i denti snudati in un rictus convulso.

La luce balenò di nuovo.

Kerry svanì. L'accetta cadde con un tonfo sul tappeto.

La radio ritornò al suo posto e restò immobile. Dal suo cervello radioatomico uscì un ticchettio.

«Soggetto fondamentalmente inadatto», disse dopo un momento. «L'eliminazione era necessaria». Click! «Preparazione per prossimo soggetto completata».

Click.

 

«La prendiamo», disse il giovane.

«Non ve ne pentirete», sorrise l'agente immobiliare. «È tranquilla, isolata, e il prezzo è ragionevole».

«Non molto», intervenne la ragazza. «Ma è proprio quello che stavamo cercando».

L'agente alzò le spalle. «Naturalmente, se non fosse ammobiliata costerebbe meno. Ma...»

«Siamo sposati da poco e non abbiamo molti mobili», sorrise il giovane. Cinse la moglie con un braccio. «Ti piace, tesoro?»

«Uhm-uhm. Chi ci abitava?»

L'agente si grattò la guancia. «Vediamo. Marito e moglie che si chiamavano Westerfield, mi pare. L'ho in lista solo da una settimana. Un bel posticino. Se non avessi già casa mia, l'avrei presa di corsa».

«Bella radio», disse il giovane. «Ultimo modello, no?» Andò a esaminarla.

«Vieni», lo chiamò la ragazza. «Diamo un'altra occhiata alla cucina».

«Subito, tesoro».

Uscirono dal soggiorno. Dal corridoio giunse la voce dell'agente che si affievoliva. La calda luce pomeridiana entrava obliqua dalle finestre.

Per un momento vi fu silenzio. Poi...

Click!

 

QRM-Interplanetario

QRM-lnterplanetary

di George O. Smith

Astounding, ottobre

 

George O. Smith, un ingegnere eleltronico che traduce con successo la sua competenza tecnica nella narrativa con questo interessante racconto, che fu il suo primo testo fantascientifico pubblicato. Fu così ben accollo dal pubblico che diede origine a una serie importante, quella di Venus Equilateral (i racconti furono pubblicati in volume per la prima volta nel 1947). Tra gli altri dieci romanzi di G. O. Smith il più notevole è La quarta R (The Fourth R. 1959). uno dei migliori e più trascurati sul tema del superuomo di questi ultimi decenni.

Sebbene «QRM-Interplanetario" non fosse il primo racconto ispirato alle tecniche delle comunicazioni spaziali, fu il più notevole, prima che Arthur C. Clarke rivolgesse la sua attenzione a questo tema, qualche anno dopo l'apparizione sulle pagine di Astounding.

 

(Tutti abbiamo le nostre caratteristiche - mi vengono i brividi quando penso alle mie - e quella di George era essere un «interruttore» inveterato. Questo avveniva non soltanto nelle conversazioni private, ma persino quando lui si trovava in mezzo al pubblico ad ascoltare un discorso ufficiale. Questo intervento tendeva a spezzare la linea del pensiero e a indebolire la forza dell'argomentazione, quando eri tu che parlavi, e quindi poteva essere un grosso fastidio. Ricordo che una volta, mentre stavo parlando a una convenzione e Cyril Kornblulh mi interruppe, io lo ridussi al silenzio dicendogli: «Cyril, tu sei il George O. Smith dei poveri diavoli». Non credo che mi abbia mai perdonato. - I.A.)

 

Korvus il Magnifico, Nilamo di Yoralen, prese il telefono nel suo palazzo e disse: «Voglio parlare con Wilneda. È all'International Hotel di Detroit, Michigan».

«Mi dispiace, signore», disse la voce della centralinista. «Non è possibile parlare, dato lo scarto di quindici minuti nella trasmissione tra qui e la Terra. Comunque, può inviare un messaggio per telescrivente».

La voce della ragazza proveniva da millecinquecento miglia a nord di Yoralen, ma sembrava che lei fosse nella stanza accanto. Korvus rifletté per un momento, poi disse: «Scriva questo messaggio: 'Wilneda: Aggiunga a ordine di macchinari minerari un aereo tipo 56-XXD per sostituire modello vecchio. E ricordi: alcol ed energia non vanno d'accordo!' Firmato Korvus».

«Sì, Mr. Korvus».

«Non Mister!» urlò il monarca. «Io sono Korvus il Magnifico! Io sono il Nilamo di Yoralen!»

«Sì, magnificenza», disse umilmente la centralinista. Era molto probabile che stesse reprimendo una risata, e questo fece torcere per la rabbia l'ometto venusiano. Ma non poteva farci niente, e quindi, con molta saggezza, non disse niente.

Per dire la verità, non era un ometto pomposo. Era grande e grosso, per un venusiano, e quindi piccolo secondo i criteri dei terrestri. Come Nilamo di Yoralen, aveva esteso il suo regno, un tempo molto modesto, fino a includere gran parte del Territorio di Palanortis, che andava da 23,0 gradi di latitudine nord fino a 61,7 e attraversava quasi completamente l'unico continente che costituiva la terraferma di Venere.

E così il messaggio di Korvus attraversò le millecinquecento miglia di rocce da Palanortis a Northern Landing. Passò sopra gli alberi alti trecento metri e le catene di montagne. Passò sopra specchi d'acqua, sopra città e paesetti. Viaggiò alla velocità della luce e su un raggio strettissimo, da Yoralen a Northern Landing, diritto come un fuso e nitidissimo. La centralinista, nella città situata oltre il polo nord di Venere, batté su una telescrivente e rilesse il messaggio via via che veniva stampato.

Korvus le disse: «È esatto».

«Il messaggio perverrà nelle mani del suo rappresentante Wilneda entro un'ora».

Il nastro battuto dalla macchina della centralinista numero 7 scivolò lungo la linea ed entrò in una accoppiatrice.

L'accoppiatrice lavorava furiosamente. Riceveva i nastri da settanta centraliniste, con la stessa rapidità con cui li battevano. Selezionava i messaggi in arrivo, assegnando meccanicamente la preferenza a quello che per caso precedeva gli altri sui nastri mobili. Il nastro centrale si snodava in continuazione alla velocità di undicimila parole al minuto, inoltrando i messaggi pervenuti da ogni località dell'Emisfero Settentrionale di Venere fino alla Terra e a Marte. Era una macchina molto indaffarata: anche a undicimila parole al minuto, spesso era in arretrato di parecchie ore.

Il segnale sincronizzato emesso dall'accoppiatrice lasciava la sala operativa e passava in sala trasmissione. Lì veniva amplificato e inviato fuori città, a un piccolo, tozzo edificio situato alla periferia di Northen Landing. E veniva lanciato in cielo da un'antenna-riflettore ad opera di una trasmittente da mille kilowatt.

L'onda si avventò contro lo strato di Heaviside venusiano. Lottò e lottò. E come avviene quando c'è una lotta, nello scontro perse parecchio. Il raggio incontrò un'accanita resistenza. Le infiltrazioni della ionizzazione lo aggredirono, spogliandolo e cercando di domarlo.

Ma l'uomo trionfava sulla natura. Il megawatt di energia che proveniva su un raggio strettissimo dall'edificio di Northern Landing uscì dallo strato di Heaviside ridotto a un debole, fioco segnale. Vacillava e crepitava. Aveva una voglia disperata di sdraiarsi e di dormire. Le sue qualità direzionali erano menomate, e barcollava malamente. Arrivò alla stazione di collegamento stanco e logoro.

Sebbene all'inizio avesse un'energia di un milione di watt a frequenza ultra-alta, era misurabile in microvolt, quando raggiunse una stazione spaziale a cinquecento miglia appena sopra la città di Northern Landing.

Il segnale, per quanto debole e vacillante, fu accolto dai premurosi ricettori. Fu amplificato. Fu liberato dalle scariche e dalle interferenze. E poi, rafforzato di cento decibel e infinitamente più «pulito», il segnale fu scagliato di nuovo, su un raggio strettissimo, da un gigantesco riflettore parabolico.

Il segnale attraversò sessantasette milioni di miglia di spazio. Attraversò l'orbita di Venere e arrivò alla stazione Venus Equilateral con minori difficoltà di quelle incontrate dalla trasmissione originale attraverso lo strato di Heaviside. Il segnale fu amplificato e demodulato. Entrò in una macchina de-accoppiatrice, dove i messaggi venivano divisi meccanicamente e inviati, ognuno sul canale appropriato, ad altre accoppiatrici. I raggi di Venus Equilateral erano diretti a Marte e alla Terra.

Il raggio della Terra finiva alla Luna; lì veniva di nuovo piazzato nel raggio a due compartimenti, e dalla Luna attraversava lo strato terrestre, emergendo nell'atmosfera del pianeta debole e stanco come quando era uscito dallo strato di Heaviside venusiano. Arrivava a una stazione nelle Bahamas, veniva liberato dalle interferenze, e inoltrato per mezzo dei raggi di superficie. Entrava in macchine de-accoppiatrici che smistavano i messaggi secondo la destinazione. I vari raggi li portavano per tutta la Terra; e quello che portava il messaggio di Korvus arrivò finalmente a una stazione, all'incrocio fra Ten Mile Road e Woodward. Da questa stazione alla periferia di Detroit, viaggiò per cavo fino al centro, all'International Hotel.

La telescrivente nell'ufficio dell'albergo cominciò a ticchettare rapida. Il messaggio per Wilneda stava arrivando a destinazione.

E cinquantacinque minuti dopo che la centralinista aveva assicurato a Korvus che ci sarebbe voluto meno di un'ora, Wilneda commentò gaiamente: «Dunque Korvus si è ubriacato di nuovo, ieri sera...»

L'arrivo del messaggio di Korvus a Wilneda completa una fase della nostra storia. Non è importante. C'erano altri centocinquanta messaggi che potevano venire seguiti nello stesso modo, e tutti altrettanto interessanti per le persone che amano sentirsi spiegare il servizio comunicazioni interplanetario. Ma questa non è una rivista tecnica. Una spiegazione più completa delle varie fasi attraversate da un messaggio quando lascia una città di Venere per raggiungere la Terra si può trovare in Communications Technical Review: volume XXVII, numero 8, pagine 411-716. I lettori che si interessano soprattutto agli aspetti tecnici sono pregati di leggersi l'articolo.

Quindi, il messaggio di Korvus è stato scelto tra altri cento e più per una sola ragione. Mentre il messaggio di Korvus era in transito attraverso le macchine de-accoppiatrici alla Stazione di Collegamento di Venus Equilateral, nella camera stagna della stazione stava entrando qualcosa di carattere materiale.

Era una visita inaspettata.

Don Channing alzò gli occhi verso il quadro dell'indicatore, nel suo ufficio, e aggrottò perplesso la fronte. Premette un pulsante e parlò nel comunicatore che stava sulla scrivania.

«Vedi un po' tu chi è, ti spiace, Arden?»

«Non è atteso», rispose la voce di Arden Westland.

«Lo so. Ma mi aspettavo qualcuno, da quando John Peters se ne è andato la settimana scorsa. Tu sai perché».

«Speri di ottenere il suo posto», disse la ragazza, in tono divertito. «E lo spero anch'io. Così sarà qualcun altro a star lì tutto il giorno, sperando che tu te ne vada per poter prendere il tuo posto!»

«Stai a sentire, Arden, non ho mai cercato di indurre Peters ad andarsene».

«No, ma appena si è saputo che lui ci stava pensando, hai cominciato a sperare di succedergli. Non preoccuparti, non te lo rimprovero». Vi fu un silenzio piuttosto prolungato, e poi la voce della ragazza si fece sentire di nuovo. «Il visitatore è un signore che si chiama Francis Burbank. È arrivato a bordo di un apparecchio con chaffeur e tutto».

«Un pezzo grosso, eh?»

«Calmati. In questo momento sta salendo nel tuo ufficio».

«Devo dedurre che vuol parlare con me?» chiese Don.

«Credo sia qui per dettar legge! Se la sua apparizione è un sintomo, dovrai sgombrare dall'ufficio di Peters».

Seguì un altro silenzio. Il comunicatore venne spento dall'altro capo, e questo mandò in bestia Channing. Avrebbe preferito sentire il dialogo tra la sua segretaria e il nuovo arrivato. Poi, senza un annuncio, la porta si aprì e lo sconosciuto entrò. Venne immediatamente al dunque.

«Lei è Don Channing? Direttore facente funzione di Venus Equilateral?»

«Sì».

«Allora ho notizie per lei, dottor Channing. Sono stato nominato direttore dalla Commissione Comunicazioni Planetarie. Lei deve riprendere il suo posto di ingegnere elettronico».

«Oh?» fece Channing. «Credevo che questo posto venisse offerto a me».

«Se ne è discusso, infatti. Tuttavia, la commissione ha deciso che sarebbe stato più adatto un uomo con una preparazione più commerciale. La Divisione Comunicazioni ha dato finora utili troppo modesti. Hanno ritenuto che un uomo con un'esperienza commerciale potrebbe ridurre le spese e così via. Lei comprende questo ragionamento, ovviamente», disse Burbank.

«Non proprio».

«Beh, ecco di che si tratta. Sanno che di solito uno scienziato non è il tipo che tiene conto dei costi della sperimentazione. Gli scienziati costruiscono ciclotroni da mille tonnellate per convertire un soldo di piombo in un centesimo di piombo e d'oro. E per farlo adoperano trecento dollari d'energia e una macchina da un milione di dollari.

«La Commissione ritiene che un uomo con una preparazione del genere non possa capire il vero significato della frase 'ridurre le spese'. E una scopa nuova spazza meglio, dottor Channing. Devono esserci molte cose in cui un uomo dall'esperienza commerciale più ridurre le spese. Io, come direttore, lo farò».

«Le auguro buona fortuna», disse Channing.

«Allora nessun rancore?»

«Questo non posso dirlo. Probabilmente non è colpa sua. Non ce l'ho con lei, ma mi sento piuttosto deluso per la decisione della Commissione. Ho esperienza di questo lavoro».

«È possibile che la Commissione la nomini, dopo di me. Se il suo lavoro dimostrerà che lei afferra bene le operazioni commerciali. Io raccomanderò io stesso».

«Grazie», fece Channing in tono asciutto. «Posso offrirle da bere?».

«Non bevo mai. E non l'approvo. Se potessi fare a modo mio, bandirei i liquori. Venus Equilateral starebbe meglio senza».

Don Channing fece scattare il comunicatore. «Miss Westland. vuol venire, per favore?»

Lei entrò con aria perplessa.

«Questo è Mr. Burbank. È il nuovo responsabile di questo ufficio. D'ora innanzi, lei dipenderà da lui direttamente. Perciò, il rapporto sulle operazioni, i progetti d'ingegneria eccetera che dovevo inviare questa mattina alla Commissione, deve venire consegnato al più presto possibile nelle mani di Mr. Burbank».

«Sì. dottor Channing». Gli occhi di Arden scintillavano, ma avevano anche un'espressione di preoccupazione e di simpatia. «Devo andarli a prendere subito?»

«Sono pronti?»

«Stavo per trasferirli sul nastro quando mi ha chiamato».

«Allora li dia a Mr. Burbank». Channing si rivolse al nuovo venuto. «Miss Westland le porterà i rapporti cui ho accennato. Sono completi e precisi. Le basterà leggerli per farsi un'idea della situazione qui a Venus Equilateral molto meglio di quanto potrebbe farsela con una conferenza che durasse tutto il pomeriggio. Dirò a Miss Westland di togliere da qui la mia roba. Può considerarlo come il suo ufficio, dato che lo usava il dottor Peters. Nel frattempo, io devo andare a controllare certi esperimenti al nono livello». Channing fece una pausa. «Vuole scusarmi?»

«Sì, se Miss Westland sa dove rintracciarla».

«Lo saprà. L'informerò io».

«Forse avrò bisogno di consultarmi con lei dopo aver letto i rapporti».

«Sta bene. Il sistema di chiamata automatica mi può trovare dovunque su Venus Equilateral, se sono nel posto chiamato da Miss Westland».

 

Don Channing si fermò davanti alla scrivania di Arden. «Sono fregato», le disse.

«Lasci Venus Equilateral?» chiese lei, preoccupata.

«No, mia bella bionda. Vengo rispedito nel mio ufficio».

«Non posso venire con te?» chiese lei, implorante.

«Niente da fare. Tu devi restare qui e fare la brava Mata Hari. Il tizio sembra convinto di poter dirigere Venus Equilateral come se fosse un autobus o una fabbrica. Conosco il tipo, e la prima cosa che farà sarà causare un pasticcio. Tienimi informato se succede qualcosa di complicato, d'accordo?»

«Sicuro. E adesso dove vai?»

«Scendo da Walt Franks. Dobbiamo esaminare la trasparenza di un nuovo tipo di vetro».

«Non sapevo che le ricerche ottiche rientrassero nella tua competenza».

«Questa ricerca consisterà di una visita al nono livello».

«Non puoi portare anche me?»

«Oggi no», sogghignò Channing. «Il tuo nuovo superiore non approva chi guarda il fondo dei bicchieri. Adesso lavoriamo agli ordini di un uomo che vuole commercializzare l'elettronica per trasformarla in una delle belle arti».

«Non sbronzarti, può darsi che lui voglia sapere dove teniamo immagazzinati gli elettroni».

«Non berrò troppo. Io eWalt abbiamo bisogno di discutere», disse lui. «Nel frattempo, tira fuori i miei spinaci dalla direzione, per favore, e riportali nell'ufficio elettronica. Ne avrò bisogno».

«Okay, Don», disse lei. «Ci vediamo».

Channing se ne andò per raggiungere il nono livello. Fece soltanto una sosta per raccogliere Walt Franks.

Davanti a un grosso boccale di birra, Channing riferì a Franks la visita di Burbank. E il perché.

Nella mente di Franks restò impressa una cosa soltanto: «Hai detto che potrebbe chiudere il locale di Joe?» chiese.

«Ha detto che se ne avesse il potere, lo farebbe».

«Il cielo non voglia. Dove andremmo per stare soli?»

«Soli?» sbuffò Channing. Il bar era mezzo pieno di gente, dato che era l'unico posto dove si poteva bere, nel raggio di sessanta e più milioni di miglia.

«Beh, hai capito quel che intendo dire».

«Io potrei portar dentro qualche cassa di birra di contrabbando», suggerì Don.

«Non potremmo portare fuori lui, sempre di contrabbando?»

«Sarebbe molto opportuno. Ma credo che sia qui per restare. Maledizione, ma perché devono nominare un politico, per un posto del genere? Ti assicuro, Walt, che peserà novanta chili. Quando sta seduto, ha lo stomaco sulle ginocchia».

Walt squadrò la figura snella di Channing. «Beh, così non potrà tenere sulle ginocchia la Westland».

«Io non l'ho mai tenuta la Westland sulle ginocchia...»

«No?»

«... durante l'orario d'ufficio!» finì Channing. Sorrise a Franks e ordinò un'altra birra. «E l'Ufficio del Controllo Raggio come se la caverà sotto il nuovo regime?»

«Ti risponderò dopo aver visto in che modo il nuovo regime tratta l'Ufficio del Controllo Raggio», rispose Franks. «Ma dubito che lui possa far qualcosa per imbrogliare le cose, nel mio ufficio. Non ci sono sistemi più economici per orientare un raggio, lo sai».

«Già. Tu sei al sicuro».

«Ma quel che non riesco a capire è perché non abbiano lasciato a te quel posto. Hai diretto la baracca dallo scorso dicembre, da quando si è ammalato Peters. E te le sei cavata benissimo».

«Il fatto che me la sono cavata benissimo significa soltanto che ho continuato con i metodi e le idee di Peters. Quel che vuole la commissione, evidentemente, è qualcosa di nuovo. Quindi, ecco la scopa nuova».

«Personalmente, preferisco quell'altro proverbio: le scarpe vecchie sono più comode», disse Franks. «Dammi un segnale, Don, e io gli rifilo una dose d'alto voltaggio. Dovrebbe sistemarlo».

«Credo che la soluzione migliore sia lavorare per il tizio. Poi, quando se ne andrà, avrò la sua raccomandazione».

«Puah», sbuffò Franks. «Nomineranno un altro politico. Hanno già tentato e ritenteranno ancora. Chissà di che circoscrizione elettorale è, quello».

Il telefono del bar squillò e il barista, dopo aver risposto, fece un cenno a Walt Franks. «La vogliono nel suo ufficio», disse. «E poi», disse a Channing, «se devo preparare il pranzo per tremila persone, sarà bene che se ne vada anche lei. Sono quasi le undici, sa, e fra poco arriveranno i primi duecento».

Joe non era molto preciso, in quanto a cifre. Il personale di Venus Equilateral contava poco meno di duemilasettecento persone. Lavoravano in tre turni di otto ore, circa novecento per turno. Gli orari per la colazione, il pranzo e la cena erano scalati in modo che non c'erano mai più di duecento persone nella grande sala da pranzo. Il bar, è il caso di precisarlo, era in una saletta in fondo alla mensa.

La Stazione di Collegamento Venus Equilateral era un moderno miracolo d'ingegneria, se credevate ai libri. Per la verità, Venus Equilateral era un asteroide che era stato spinto in quell'orbita intorno al sole, formando una dimostrazione pratica della soluzione a triangolo equilatero dei Tre Corpi di Moto. Era un lungo cilindro di circa tre miglia, con un miglio di diametro.

Nel 1946, il Corpo Segnalatori dell'Esercito degli Stati Uniti era riuscito a inviare un segnale radar alla Luna e a riceverlo di ritorno. Era stato un trionfo accademico: a quel tempo, un'impresa del genere non aveva valore pratico. Il suo valore era venuto più tardi, quando i cieli si erano aperti ai viaggi: quando gli uomini avevano attraversato il vuoto dello spazio per colonizzare i pianeti più vicini, Marte e Venere.

E allora scoprirono che le comunicazioni dipendevano dall'esperimento iniziale del 1946.

Ma c'erano barriere anche nello spazio. La penetrazione dello strato di Heaviside non era un grande problema. Era già stato risolto. Ma scoprirono che il sole, il nostro sole, spesso disturbava le comunicazioni perché i pianeti gli girano tutti intorno a velocità diverse.

Troppo spesso Marte è dall'altra parte del sole, rispetto alla Terra, oppure il sole è in mezzo a Marte e Venere. Astronomicamente, la situazione in cui due pianeti si trovano ai lati opposti del sole è chiamata grande opposizione, ed è un nome appropriato, anche se coloro che le diedero questo nome non pensavano alle comunicazioni.

Il concetto del sole situato tra due pianeti che interferisce nelle comunicazioni non comporta un vero e proprio allineamento fisico. Il sole è un enorme generatore di energia radiotermica e quindi le comunicazioni cominciano a non funzionare più bene quando l'altro pianeta si trova a 15-20 gradi dal soie. Quindi, per 30-40 gradi del passaggio all'opposizione, Venus Equilateral è una indispensabile stazione di collegamento.

Per aggirare questa barriera naturale per le comunicazioni, l'umanità si servì di una delle soluzioni classiche del problema dei Tre Corpi in Moto, nel quale si afferma che tre oggetti celesti, ai vertici di un triangolo equilatero, resteranno così, ruotando intorno al comune centro di gravità. Questa posizione equilaterale tra il sole e qualunque pianeta è chiamata «posizione troiana», perché da tempo si sapeva che un gruppo di asteroidi precede e segue Giove nella sua orbita. «Troiana» deriva dal fatto che questi asteroidi portano i nomi famosissimi degli eroi della guerra di Troia.

Per comunicare intorno al sole, quindi, è necessario semplicemente stabilire una stazione di collegamento nella posizione troiana del pianeta desiderato, davanti o dietro il pianeta stesso nella sua orbita; e il pianeta, il sole e la stazione formeranno un triangolo equilatero.

E così nacque la stazione di collegamento Venus Equilateral.

Dell'asteroide originario era rimasto ben poco. La roccia era stata tolta di mezzo per lasciare spazio al personale sempre più numeroso e al materiale necessario per far funzionare la stazione di collegamento. Quello che era stato un asteroide con macchinari adesso era un immenso mucchio di macchinari con persone. L'interno, già di roccia spugnosa, adesso era ordinatamente suddiviso in uffici, stanze, corridoi e così via, separati da lastre d'acciaio. La superficie esterna, un tempo tormentata e inaccessibile, adesso era tutta di acciaio lucido. Il piccolo asteroide era sparito, perché la stazione ne era traboccata poco dopo che gli uomini avevano scoperto che erano veramente possibili le comunicazioni ininterrotte tra i mondi.

Adesso, l'asteroide artificiale conteneva duemilasettecento persone. C'erano magazzini, uffici, luoghi di ricreazione, chiese, matrimoni, morti, tutto, insomma tranne le tasse. A giudicare dalla popolazione, era una cittadina.

Venus Equilateral ruotava sul proprio asse. Sulla superficie interna del doppio guscio d'acciaio c'erano le residenze... non casette, ma appartamenti di una, due, tre, sei stanze. La forza centrifuga generava una gravità artificiale poco superiore alla gravità terrestre. Sopra questo strato di appartamenti incominciavano gli uffici. Gli uffici, i centri ricreativi e così via. Nella posizione centrale, dove la gravità era zero o quasi, c'erano i macchinari automatici: i servogiroscopi e i cercaraggi, i magazzini, l'impianto dell'aria, le fattorie idroponiche, e tutte le altre cose che avevano bisogno di poca o punta gravità per tirare avanti al meglio.

Questa era la stazione di collegamento Venus Equilateral, 60 gradi più avanti di Venere, sull'orbita del pianeta. Spesso più vicina alla Terra che a Venere, la stazione offriva il posto ideale per ritrasmettere i messaggi, ogni volta che Marte o la Terra si trovavano dall'altra parte del sole. Restava raramente in ozio, perché capitava di rado che Marte e Venere si trovassero in posizione tale da rendere possibile le comunicazioni dirette fra tutti e tre i pianeti.

La stazione era il centro delle Comunicazioni Interplanetarie. Era la sede centrale. Era il cuore della linea di comunicazione del sistema solare, e perciò poteva contare su un ottimo personale. Gli ordini per tutto partivano da Venus Equilateral. Venus Equilateral era un'istituzione molto delicata, e quindi il personale e gli impianti funzionavano sempre.

Questa era l'organizzazione che Don Channing sperava di dirigere. Un'azienda chiusa con un unico scopo: le comunicazioni interplanetarie!

 

Channing si chiese se la convocazione per Walt Franks era ufficiale. Quando rientrò nell'ufficio elettronica, premette il pulsante del comunicatore e chiese: «C'è Walt?»

Gli rispose la voce di Arden: «No, ma Burbank è nell'ufficio di Walt. Vuoi ascoltare?»

«Spiona! Usando il comunicatore?»

«Sicuro».

«Meglio spegnerlo», l'avvertì Don. «Burbank non è uno stupido, vedi, e su quei cosi ci sono le luci pilota e le bandierine da segnalazione per rivelare se qualcuno ha l'apparecchio aperto. Non vorrei che ti licenziasse per aver origliato».

«D'accordo, ma stava diventando interessante».

«Se ho scommesso sul cavallo giusto», disse Channing, «sarà interessante per tutti, prima che sia finita».

 

Trascorsero sette giorni monotoni. Sette giorni in un mondo dal clima costante. Una settimana, segnata soltanto dal cambiamento dei turni di lavoro e dagli orologi che scandivano i periodi di otto ore. Sette giorni non rovinati dalla pioggia, dal freddo o dal caldo. Sette giorni di luce solare ininterrotta che si affacciava dagli oblò sigillati con bagliori accecanti, e andava e veniva via via che la stazione ruotava.

Ma negli uffici dirigenziali, la situazione non era serena. Non che la monotonia si insediasse mai seriamente nel dipartimento ingegneria: ma nel sacrario di tutte-le-cose-che-non-funzionavano-mai-come-dovevano il solito caos era peggiorato. Non si trattava di qualcosa che si potesse indicare con precisione. Aveva un carattere più subdolo. Lunedì, Francis Burbank emanò una circolare che eliminava la possibilità per il personale di inviare messaggi gratuiti. Martedì, abolì la consuetudine annosa di autorizzare le navi dei rifornimenti a trasportare gratuitamente i pacchi inviati da parenti e amici. Mercoledì, Burbank decise di imporre il coprifuoco all'unico e solo spaccio di birra. Il «coprifuoco» fu una concessione, dopo che Burbank aveva scoperto che la totale messa al bando di tutte le bevande alcoliche avrebbe potuto facilmente portare a un problema morale più delicato, dato che nel tempo libero non c'era molto da fare. Giovedì, Burbank istituì un severo gruppo di censori per il cinema. Venerdì, impose una tassa su sigarette e dolciumi. Sabato fece installare gli orologi di controllo in tutti i laboratori e in tutti gli uffici professionali dove prima della sua venuta la gente andava a lavorare con mezz'ora di ritardo, e poi restava un'ora in più.

Domenica...

Don Channing si precipitò nell'ufficio del direttore, con la faccia contratta da una smorfia tempestosa.

«Senta», disse, «per anni abbiamo sempre pensato che chiunque, uomo, donna o bambino disposto a venire qui meritasse tutta la libertà e la considerazione che potevamo dargli. Cos'è questa maledetta tassa sulle sigarette? E i dolciumi? E chi le ha detto di impedire ai nostri di comunicare ai loro cari che stanno bene? E perché impedire loro di ricevere pacchi di caramelle, torte, souvenir, capi d'abbigliamento, saponette, insetticidi, liquori o altro? E ha mai pensato che il coprifuoco si può adottare soltanto quando c'è un orario unico per tutti? Su Venus Equilateral, Mr. Burbank, le sei delle sera sono, per un gruppo, due ore dopo cena, per il secondo due ore dopo l'inizio del lavoro, e per il terzo sono a metà del sonno. E poi, questa idea di tagliare tutte le scene d'amore, le bevute, le seduttrici, i banditi, gli omicidi e le maggiorate dai film! Siamo un gruppo selezionato e sappiamo badare alla nostra morale. Un uomo o una donna che sgarrassero verrebbero spediti via in fretta. Dopo anni di libertà personale, ci ritroviamo sotto una vera e propria dittatura».

Francis Burbank non si scompose. «La prego di restarsene nel suo laboratorio», disse a Channing. «Forse proprio la sua permissività in questo genere di cose è stata la ragione che ha indotto la commissione a scegliere qualcuno più preparato. Lei parla di molte cose. Ne verranno altre. Risponderò ad alcune delle sue domande. Perché dovremmo permettere che i nostri profitti vengano divorati da gente che spedisce messaggi gratis ad amici, parenti e conoscenti, su tutti i pianeti minori? Perché tanto spazio utile per caricare merci preziose deve essere occupato da regalucci personali? E se il personale vuole fumare e bere, si paghi il lusso. Contribuirà a coprire le spese altissime per spedire oggetti inutili dal pianeta più vicino... oltre a risparmiare spazio utile per il carico!»

«Ma lei sta seminando risentimento fra i dipendenti», obiettò Channing.

«Chi vuole è libero di andarsene!» scattò Burbank.

«E lei potrà scoprire che è difficile ingaggiare persone disposte a passare la vita in un posto che non offre né la vista del cielo né un soffio d'aria pura. La gente, qui, può andarsene a casa, ai pianeti d'origine, e constatare che l'odore della dolce aria di primavera è preferibile a un clima che non cambia mai. Qualche volta mi domando se non sarebbe possibile creare una specie di stagione fredda e piovosa, tanto per dare al personale di Venus Equilateral qualcuna delle sorprese che si hanno a Chicago o a New York. Diavolo, persino a Canalopsis qulache volta c'è un acquazzone!»

«Torni nel suo laboratorio», disse freddamente Burbank. «E lasci a me il compito di dirigere la stazione. Perché dovremmo spendere denaro prezioso per viziare questa gente? Non m'interessa se a Canalopsis c'è qualche acquazzone: non siamo su Marte, siamo su Venus Equilateral. Lei si occupi delle cose di sua competenza, e io farò quello che ritengo opportuno per la stazione!»

Channing alzò mentalmente le braccia e uscì dall'ufficio. Quel pazzo stava aprendo falle in un'organizzazione che aveva sempre funzionato bene. Scese al nono livello e bussò alla porta chiusa del bar di Joe. La porta restò chiusa.

Channing continuò a bussare fino a farsi sanguinare le nocche delle dita. Finalmente una porta si aprì, cinquanta metri più avanti, e un uomo si affacciò. Poi la testa rientrò, e dopo trenta secondi la porta accanto a Joe si apri per lasciar entrare Channing.

Joe chiuse in fretta, alle spalle di Don.

«Cosa diavolo gestisce, Joe... uno spaccio clandestino?»

«La prossima volta che vuole entrare», l'informò Joe, «bussi due volte al 902, una volta al 914 e poi quattro volte qui. La farò entrare. E adesso, non alzi troppo la voce». Joe si portò l'indice alle labbra e strizzò l'occhio. «Anche le pareti hanno le orecchie», dichiarò.

Condusse Channing nella saletta e accese la luce. I presenti cercarono precipitosamente di nascondere i bicchieri sotto il tavolo. «Lasciate stare», disse Joe. «È solo il dottor Channing».

Tutti si rilassarono.

«Voglio qualcosa di forte», disse Channing a Joe. «Ho appena sostenuto tre riprese con il diavolo, e mi ha steso».

Qualcuno che era abbastanza vicino per sentirlo chiese precisazioni. Channing spiegò quel che era successo. Tutti sembrarono convincersi che Channing aveva fatto del suo meglio e tornarono a occuparsi degli affari loro.

All'improvviso si sentì bussare secondo il segnale: la porta venne aperta ed entrarono Walt Franks e Arden Westland. Franks aveva l'aria di essere appena uscito da una betoniera.

«Scotch», disse Arden. «E un bicchiere di birra per la signora».

«Cosa gli è capitato?»

«Ha cercato di attenersi agli ultimi suggerimenti di Burbank».

«Hai lavorato troppo», lo rimproverò gentilmente Channing. «Non è il momento più adatto per parlarne, suppongo, ma quello slittamento del raggio ha qualcosa a che vedere con le tue condizioni... o viceversa?»

«Sai che non ho niente a che fare personalmente con i comandi del raggio», disse Franks. Si raddrizzò e fronteggiò Channing con aria di sfida.

«Non ti arrabbiare. Cos'è successo?»

«Il Genio, lassù, mi ha chiamato per vedere se c'era qualche sistema per restringere il raggio. Gli ho detto che, sicuro, potevamo ridurlo praticamente a zero. Lui mi ha chiesto perché non tenevamo il raggio in parallelo, risparmiando l'energia che va dispersa. Ha sostenuto che potevamo ridurre l'energia della metà, se ne fosse arrivata di più alla stazione, invece di spargersi per tutto il firmamento. Io, stupidamente, mi sono dichiarato d'accordo con lui. Ha ragione. Si può fare. Ma solo se è tutto immobile. Ho cercato di trovare un sistema per controllare magneticamente il raggio, in modo che compensi le normali variazioni dovute alle influenze magnetiche. Finora ho fatto fiasco».

«Non si può fare. Lo so, perché ho lavorato per tre anni sul problema, insieme ad alcuni dei migliori cervelli del sistema solare. Al giorno d'oggi è impossibile».

Un ticchettio attirò la loro attenzione. Era il tubo pneumatico. Un cilindro cadde dal tubo, e Joe l'apri e passò a Franks il biglietto.

C'era scritto:

 

WALT:

TI MANDO QUESTO DA JOE PERCHÈ SO CHE SEI LÌ E CREDO CHE TU DEBBA RICEVERLO AL PIÙ PRESTO.

JEANNE S.

 

Walt sorrise stancamente e disse: «Una brava segretaria è come una cosa bella. Una cosa bella viene ammirata ed è una gioia eterna. Jeanne è l'uno e l'altro. È una gemma».

«Già, lo sappiamo. Cosa dice la lettera?»

«È un altro comunicato del nostro amato capo. Sottrae alla mia giurisdizione i trecento e passa uomini che lavorano sul Controllo del Raggio. Ne assumerà personalmente la responsabilità. In pratica, sono senza lavoro».

«Allora, due Scotch», disse Channing a Joe.

«Facciamo tre», disse Arden. «Io deve lavorare per lui!»

«È tanto tremendo?» chiese Channing. «Tutto quel che devi fare è ascoltare attentamente e fare quel che ti dice. E devi anche rispondergli».

«Già», disse Arden. «Ma voialtri non siete costretti ad ascoltare un imbecille che per tutto il giorno fa domande cretine. Mi fa ammattire».

«Quel che vorrei sapere», mormorò Franks, «è perché vuol togliermi il lavoro. Accidenti, sono al Controllo del Raggio da anni. Ho la squadra migliore che si sia. I miei uomini sono veramente capaci di prevedere uno slittamento e di compensarlo, credo. Li ho scelti io, e sono fiero di loro. Adesso», disse, avvilito, «non ho più squadra. Anzi, non mi resta praticamente nessuno. Solo quella dozzina di persone che ci sono in laboratorio. Prima che questa storia finisca, dovrò tornare a far funzionare io i misuratori».

Era una vera retrocessione. Walt Franks, che era stato il capo di trecento tecnici pagatissimi, stimatissimi e intelligenti, adesso era sovrintendente di una dozzina di tecnici di laboratorio. Era un colpo gravissimo al suo prestigio.

Channing fini di bere e, vedendo che Franks pensava al altro, disse ad Arden: «Ti ringrazio di esserti presa cura di lui, ma non dedicargli tutta la tua simpatia. Ho l'impressione che presto avrò bisogno di piangere sulla tua spalla».

«Quando hai bisogno di una spalla morbida», disse generosamente Arden, «fammelo sapere. Arriverò di corsa».

Channing uscì. Per il resto della giornata girovagò nervosamente. Visitò parecchie volte il bar. ma l'atmosfera del locale era deprimente. Il locale di Joe, che un tempo era un luogo di svago, di ilarità e di buonumore, era diventato un tempio per le reminiscenze e i rimorsi, dove si andava per annegare i dispiaceri, o per avvelenarli, o per conservarli sotto alcol.

Andò al cinema, a vedere un film che veniva annunciato come uno dei migliori thriller realizzati dai tempi di Hitchcook. Scopri che tutte le parti interessanti erano state tagliate e che restava soltanto una sconnessa rappresentazione di un investigatore che trovava indizi senza capo né coda e poi fine, anche il colpevole. Alla fine si capiva che investigatore e criminale avevano avuto uno scontro decisivo, ma non si sapeva se la lotta si fosse svolta con pistole, cannoni, coltelli, bigné alla crema o parole. Inoltre, c'era da presumere che l'investigatore e la bella, che andavano in parziale blackout ogni volta che lei si sedeva, finissero per fraternizzare quanto bastava per tenersi per mano dopo la fine del film.

Channing uscì alla carica dal cinema dopo aver visto il film e aver scoperto che l'unico cartone animato era stato censurato perché mostrava un'innocua mucca senza mutande.

Si fece dare da Joe una bottiglia del migliore e se la portò nel suo alloggio, avvilitissimo. Alle otto di sera, Don Channing s'era addormentato, completamente vestito. Il letto rollava e rifiutava di mantenere un assetto orizzontale, ma Channing trovò una cravatta, si legò all'intelaiatura e sprofondò in una magnifica nuvola.

Si svegliò al ritmo di spendidi postumi della sbronza, trangugiò sette bicchieri d'acqua e si diresse vacillando verso la doccia. Quindici prodighi minuti di acqua ghiacciata e un po' di caffè lo riportarono un po' più vicino alla normalità. Si avviò per il corridoio, verso l'ascensore.

Sulla sua scrivania trovò un promemoria che gli ingiungeva di presentarsi nell'ufficio di Burbank. Gemendo d'angoscia, Channing ci andò, prevedendo il peggio.

Andò male. Tanto male, anzi, da spingere al bere tutti i presenti. Burbank chiedeva le opinioni di tutti su tutto, e poi le faceva a pezzi con scarso riguardo per la loro validità. Espresse molte volte le proprie convinzioni che si potevano riassumere come una disgustata certezza che il personale era assolutamente incapace di fare qualcosa di buono.

«Certamente», dichiarò, «so che tirate avanti. Ma dal suo laboratorio è uscito qualche nuovo sviluppo, Mr. Channing?»

Qualcuno fece per ricordare a Burbank che Channing era dottore, ma Don scosse il capo.

«Abbiamo lavorato su molte piccole cose», disse. «Non posso dire che ci sia stato qualcosa di grosso. Via via che realizziamo nuovi sviluppi, li mettiamo in pratica. Tutto sommato, rappresentano il frutto di un onesto impegno».

«Che cosa, per esempio?» chiese burrascosamente Burbank.

«L'ultima è stata una miglioria per l'accoppiatrice, che permette di trasmettere più di diecimila parole al minuto».

«Fino a quel momento il massimo era circa ottomila parole», disse Burbank. «Ho l'impressione che abbiate riposato troppo a lungo sugli allori. Se non mi porta qualcosa abbastanza sensazionale per pubblicizzarlo, sarò costretto a prendere provvedimenti. Ora lei, Mr. Warren», continuò. «Lei dovrebbe essere il sovrintendente della manutenzione. Posso chiederle perché l'involucro esterno non è verniciato?»

«Perché sarebbe vernice sprecata», disse Warren. «Calcoli la superficie di un cilindro lungo tre miglia e con un miglio di diametro. Sono quasi undici miglia quadrate! Undici miglia quadrate da verniciare servendoci di impalcature sospese dall'esterno».

«Usate sedili volanti», scattò Burbank.

«Un sedile volante non servirebbe a niente», rispose Warren. «Deve ricordare che, per chiunque cerchi di operare sull'esterno dell'involucro, questo è un soffitto. Un'altra cosa: dipinga l'esterno, e questa stazione dovrà mandarla avanti da solo. Perché crede che sia così lucida?»

«Se verniciamo l'esterno», insistette Burbank, «almeno sarà più presentabile di questo anonimo color acciaio».

«Questo color acciaio è lucido per quanto abbiamo potuto renderlo noi», ringhiò Warren. «Vogliamo liberarci il più possibile del calore. Schiaffi un rivestimento di qualunque tipo di vernice, là fuori, e qui dentro ci sarà troppo caldo».

«Ah, molto interessante. Risparmieremo sulle spese del riscaldamento...»

«Non faccia l'idiota», insorse Warren «Le spese di riscaldamento, mia nonna! Senta, Burbank, ha mai sentito parlare della Pila all'Uranio? Una parte dei nostri introiti ci viene dalla raffinazione dell'uranio e del plutonio e dalla produzione di radioisotopi. E... santo Dio, non ho nessuna intenzione di cercare di spiegarle i materiali che reagiscono per fissione: si trovi una vecchia copia del Rapporto Smyth e si aggiorni.

«Rimane il fatto», continuò Warren, calmandosi un po' dopo aver smascherato l'ignoranza di Burbank, «che abbiamo più energia di quel che possiamo sfruttare. Lavoriamo con un margine di sicurezza irradiandone un po' di più di quella che generiamo. Il resto la produciamo con i vecchi metodi del riscaldamento artificiale.

«Molte volte, però, è necessario dissipare parecchia energia per ragioni diverse, e allora dobbiamo spegnere il riscaldamento. Cosa succederebbe se non potessimo raffreddare questa maledetta caffettiera? Moriremmo arrostiti la prima volta che ci arrivasse un dipendente nuovo con una temperatura corporea d'un grado più alta del normale».

«Il suo è un atteggiamento di aperta ribellione», ribatté Burbank

«Sicuro. E se lei insiste nel tentativo di rendere presentabile questo posto, io e i miei uomini ci ammutineremo! Buongiorno, signore!»

Warren uscì tempestosamente dall'ufficio, sbattendo la porta.

«Prenda nota, Miss Westland. 'Commissione Comunicazioni Interplanetarie, Terra. Signori: Michael Warren, sovrintendente della manutenzione di Venus Equilateral, si è mostrato refrattario ad alcuni suggerimenti relativi all'aspetto e/o al funzionamento della stazione. Chiedo che venga sostituito immediatamente. Firmato, Francis Burbank, direttore'». Burbank fece una pausa, per vedere l'effetto del messaggio sugli uomini seduti intorno al tavolo. «La spedisca per raccomandata!»

Johnny Billings aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse di scatto. Arden Westland guardò Burbank, ma non disse niente. Rivolse a Channing un sorriso ironico, e Channing lo ricambiò. Anche intorno al tavolo c'erano molti sogghigni, perché tutti avevano capito. Burbank aveva appena ordinato di spedire una lettera dalla stazione di collegamento interplanetario per raccomandata. Non sarebbe arrivata sulla Terra prima di due settimane: se si fosse servito dei mezzi della stazione, il messaggio sarebbe pervenuto alla commissione in meno di un'ora.

«È tutto, signori», disse Burbank, con un sorriso soddisfatto. «La prossima conferenza sarà lunedì mattina!»

«Mr. Channing», gorgheggiò la voce amabile di Arden Westland, «ora che abbiamo escluso l'influenza del principale sul tabù segretariale, vuole avere la gioia di offrirmi da bere?»

«Puoi ripetere parola per parola quel che hai detto e spiegarmelo?» sorrise Don.

«Un uomo non deve fare gli occhi dolci alla segretaria. Una ragazza non deve sedurre il principale. Adesso che tu non sei più facente funzioni di direttore e io non sono più la tua segretaria, cosa ne diresti di essere un po' socievole?»

«Non avevo mai immaginato che avrei ricevuto proposte da una stenodattilografa», disse Channing, «ma ci sto. Che ora è? Lo facciamo apertamente, oppure sgattaioliamo furtivamente nell'appartamento e beviamo un goccetto di nascosto?»

«Sgattaioliamo. Cioè, se ti fidi a lasciarmi entrare nel tuo appartamento».

«Sono spaventato a morte», la informò Channing. «Ma se io non riuscissi a difendere il mio onore, dobbiamo ricordare che non è un disonore fallire dopo aver tentato».

«Come alibi mi sembra buono», disse Arden con un sorriso. «O anche come invito. Non ho capito bene. Oppure, Mr. Channing. devo intendere che i miei approcci potrebbero non essere graditi?»

«Vedremo», disse Channing. «Dovremo studiare attentamente il problema.

Non posso fare affermazioni senza prima aver esaminato con molto scrupolo la situazione in ogni tipo di consizione. Eccoci arrivati. Precedimi nel varcare la porta, prego».

«Perché?» chiese Arden.

«Così non potrai indietreggiare all'ultimo momento. Quando sarai entrata, ci penserò io a tenerti lì dentro».

«Finché hai qualche bibita vietata, resterò». Arden cercò di lanciare uno sguardo lubrico a Don, ma non ci riuscì, perché aveva pochissisima esperienza in materia. «Porta da bere!»

«Ai bei tempi andati», brindò Don, quando alzarono i bicchieri.

«No. Al futuro», propose Arden. «I bei tempi andati... sono andati. Se tornassi indietro, dovresti comunque avere ancora il piacere d'incontrare Burbank».

«Grrrr», ringhiò Channing. «È un nome che non deve mai essere pronunciato in questa famiglia».

«Non hai una fotografia di quella carogna, girata contro la parete, per caso?».

«L'ho buttata via».

«Brindiamo a questo». Vuotarono i bicchieri. «E beviamone un altro».

«No ho proprio bisogno», disse Channing. «Te l'immagini? Quell'avvoltoio mi ha chiesto d'inventare qualcosa in sette giorni».

«Sicuro. In base allo stesso ragionamento per cui spedisce una lettera raccomandata da Venus Equilateral invece di trasmetterla attraverso il raggio diretto alla Terra. Un ragionamento sbagliato».

«Fasullo».

La porta si spalancò all'improvviso ed entrò Walt Franks. «Avete saputo l'ultima?» chiese, senza fiato.

«No», disse Channing.

Prese automaticamente un altro bicchiere. Versò, e Walt segui con lo sguardo il liquido ambrato che saliva, preceduto da una coltre di spuma candida.

«Allora guardate!»

Walt porse a Channing una lettera ufficiale. Comunicava che c'erano state undici interruzioni del servizio a causa di Venus Equilateral.

«Undici! E come mai?»

«Il Genio».

«Che cos'ha fatto?»

«Ricordi che mi ha tolto la giurisdizione sugli operatori del controllo del raggio? Bene, negli ultimi dieci giorni, Burbank ha introdotto vari provvedimenti nuovi per ridurre le spese. Credo che speri di poter licenziare circa duecento uomini».

«E sai cosa sta facendo?»

«Sta accorciando la dispersione. Intende ridurre l'uso dell'energia sbattendo nel ricettore una parte più ampia del raggio. Più il raggio è stretto e più è difficile mirare, lo sai benissimo, perché a distanza di settanta milioni di miglia, ogni volta che un piccolo Joey, su Marte, fa ruotare una calamita giocattolo legata all'estremità di uno spago, il raggio oscilla. E a settanta milioni di miglia, che oscillazione occorre per impedire a un raggio ristretto di centrare l'obiettivo?»

«La dispersione normale del raggio in partenza da Venere è superiore alle mille miglia. Oscilla e ondeggia per quasi tutto quell'arco. È per questo che abbiamo scelto proprio quella particolare dispersione. Se potessimo puntare il raggio come una freccia, avremmo ridotto la dispersione, no?»

«Giustissimo. E lui ha ristretto il raggio a una dispersione inferiore a cento miglia. Adesso, ogni volta che una macchia solare maschio fa i capricci per una macchia solare femmina, il raggio parte per la tangente. Abbiamo perduto il raggio undici volte in una settimana. Più di quanto ci fosse capitato di perderlo nei tre anni precedenti!»

«Okay», disse Channing. «E allora? Il responsabile è il genio. Noi ce ne stiamo zitti e buoni ad attendere gli sviluppi. Quando si tratta di dar prova di capacità, possiamo stendere Mr. Burbank. Vuoi un altro po' di birra?»

«Ne hai ancora? Se no, io ne ho un paio di casse nascoste sotto il letto, nel mio alloggio».

«Ne ho in abbondanza», disse Channing. «E ne avrò bisogno. Mi restano esattamente ventidue ore per inventare qualcosa di paragonabile al telefono, alla luce elettrica, all'aeroplano e all'universo in espansione. Fiuuu! Versamene un'altra, Arden».

Bussarono alla porta e una voce femminile chiese: «Posso entrare?»

Era la segretaria di Walt e aveva l'aria preoccupata. Agitò un'altra lettera.

«Un altro comunicato?» chiese Channing.

«Peggio. Ci informano che nelle ultime tre ore è arrivato a destinazione meno del dodici per cento dei messaggi!»

«Da dove arriva la lieta notizia?»

«È arrivata sul raggio della Terra. Porta il numero diciassette, quindi deduco che avevano fatto altri sedici tentativi».

«Cos'ha combinato il Genio, questa volta?» chiese tempestosamente Channing. Uscì a precipizio dalla stanza e corse verso l'ufficio del direttore. Lungo il percorso, urtò la porta con la spalla, rimbalzò sulla parete di fronte, si rimise in rotta e sparì correndo. Tre teste si affacciarono da altrettanti uscì per vedere chi faceva tutto quel chiasso.

Channing frenò con i tacchi quando fu nell'ufficio di Burbank. «Cos'è successo?» esclamò. «Si rende conto che abbiamo perduto il raggio? Che cosa sta combinando?»

«È una difficoltà trascurabile», rispose calmissimo Burbank. «Tra poco l'appianeremo».

«Tra poco! Il nostro statuto non ammette interruzioni del servizio di simile durata. Glielo domando ancora: che cosa sta combinando?»

«Lei, come ingegnere elettronico, non ha il diritto d'interrogarmi. Ripeto, tra poco elimineremo la difficoltà».

Sbuffando, Channing uscì alla carica dall'ufficio di Burbank. Andò nell'ufficio Controllo del Raggio, svoltò all'angolo su un piede solo e sbatté la porta.

«Chuck!» urlò. «Chuck Thomas! Dove sei?»

Nessuna risposta. Channing uscì dall'ufficio e andò ai quadri del comando centralizzato, vicino alla camera di compensazione di Venus Equilateral. Trovò Thomas che bolliva su un apparecchio complicato.

«Chuck, per amor del cielo, cosa diavolo succede?»

«Credevo che lo sapessi», rispose Thomas. «Burbank ha fatto installare banchi di cellule fotoelettriche sui comandi del raggio. Ha intenzione di usare le fotocellule per tenere nel raggio Venere, la Terra e Marte».

«Per tutti i santi del Paradiso! Ci avevano provato nel secolo scorso, e dopo tre giorni ci hanno rinunciato. Dove sono adesso gli uomini?»

«Stanno facendo i bagagli per tornare a casa. Li hanno licenziati!»

«Richiamali! Mettili al lavoro. Spegni quelle maledette fotocellule e usa di nuovo il comando manuale. Abbiamo perso tutti i raggi».

A questo punto si udì una voce sarcastica. «Per quale ragione interferisce con le mie migliorie?» ringhiò. «Forse lei si faceva pagare sottobanco dai dipendenti per conservare i loro posti di lavoro impedendo l'installazione di apparecchiature migliori?»

Channing girò sui tacchi e sparò un pugno a Burbank. Fu un lavoretto magnifico, al momento giusto e ben centrato. Burbank finì lungo disteso.

«Datti da fare», gridò Channing a Thomas.

Charles Thomas sogghignò. Non furono gli ottanta chili di Channing a farlo decidere. Se ne andò di corsa.

Channing scrollò Burbank. Lo schiaffeggiò. Quello apri gli occhi accusatori, ammutolito dall'indolenzimento alla mascella, alla lingua e alla gola.

«Ora ascolti», sibilò Channing. «Ascolti bene ogni parola! Le fotocellule non servono a nulla. Sa perché? A causa dello scarto di tempo. Alle distanze planetarie, la luce impiega un certo tempo ad arrivare a destinazione. Il raggio oscilla. Il pianeta si sposta a causa di due fattori: le variazioni dei campi magnetici e persino la curvatura della luce dovuta ai campi gravitazionali scuotono microscopicamente il raggio. Ma, Burbank, una discrepanza microscopica basta a rovinare tutto. Ci vogliono uomini esperti per azionare i comandi del raggio. Uomini capaci di pensare. Uomini che, per esperienza, sappiano capire che questa fluttuazione non durerà e rientrerà in pochi secondi, o che quel tipo di oscillazione aumenterà per mezz'ora, poi tornerà indietro, passerà attraverso lo zero e arriverà allo stesso livello dal lato negativo.

«Poiché la luce e le onde da un centimetro non si comportano esattamente allo stesso modo, un campo che serve all'una può non servire alle altre. Ergo, le sue fotocellule sono inutili. Il mosaico fotoelettrico è un aggeggio geniale che serve a inquadrare un aereo in un riflettore, o a puntare un cannone da sedici pollici, ma è inutile, oltre a un paio di milioni di miglia di distanza. Perciò ho richiamato gli uomini ai loro posti. E non si azzardi a tentare qualche altra stupidaggine senza consultare gli uomini che sono pagati per pensare!»

Channing si rialzò e uscì. Mentre scendeva le scale per raggiungere il livello degli appartamenti, incontrò molti degli uomini che erano stati licenziati. Nessuno di loro disse una parola, ma tutti sfoggiavano grandi sorrisi d'intesa.

Lunedi mattina, però Burbank era di nuovo se stesso. Il bruciore della sconfitta subita ad opera di Don Channing era svanito, e lui sprizzava idee da tutti i pori. Trafisse Franks con gli occhi e disse: «Se i nostri raggi sono sempre centrati, perché è necessario usare la diversità del multiplex?»

Franks sorrise. «Si sbaglia», disse. «Non sempre sono centrati. Variano. Quindi, usiamo la trasmissione differenziata in modo che, se un raggio perde temporaneamente la mira, uno degli altri porterà a destinazione il messaggio. È come legare cinque o sei funi per sollevare una pietra. Se se ne spezza una, ci sono le altre».

«E così li tiene sempre tutti in funzione, no?»

«Certamente. Con uno scarto di parecchi minuti nella trasmissione, cercare di individuare uno slittamento del raggio che dura pochi secondi, è un assurdo».

«E voialtri disperdete il raggio su un'ampiezza di mille miglia per tenerlo centrato con qualunque variazione?» chiese seccamente Burbank a Channing.

«Non qualunque variazione. Dica qualunque alterazione normale, e io lo confermo».

«E allora perché non disperdere il raggio su un'ampiezza di due o tremila miglia per eliminare la trasmissione differenziata?» chiese trionfante Burbank.

«Ha mai sentito parlare dell'effetto chiamato fading?» chiese Channing con un sogghigno. «Il segnale va e viene. Niente oscillazioni: diventa semplicemente più debole. Viene meno per carenza di nutrimento, suppongo, e corre dietro al primo raggio cosmico vagabondo che passa. Comunque, per molte volte al minuto quel raggio è esattamente sul bersaglio, e tuttavia è così debole che i nostri depuratori non riescono a ripulirlo quanto basta per renderlo utilizzabile. E allora torna utile il sistema di diversificazione. I nostri rivelatori selezionano automaticamente il canale migliore. Pescano quello che è più forte e assorbe in sé il resto».

«È complicato?»

«È un sistema che fu adottato ai tempi della prima fioritura della radio... nel 1935 o giù di lì. I due canali entrano in un rilevatore comune. Il voltaggio per il controllo automatico del volume arriva dall'unico rilevatore e viene applicato a tutti i canali. È un voltaggio che va benissimo per il canale più forte, ma è troppo alto per quelli che ricevono il segnale più debole, e li blocca rendendoli insensibili. Quando il canale forte svanisce e si rinforza quello debole, il rilevatore si adatta fino a che i due canali sono eguali, e poi risale con quello più forte».

«Capisco», disse Burbank. «E non si è fatto niente per rimediare al fading?»

«Secondo Mark Twain, è come il tempo», rispose Channing con un sorriso. «Tutti ne parlano, ma nesssuno fa niente per cambiarlo. Abbiamo scoperto soltanto una cosa: possiamo inveire e maledirlo, e quello non risponde per le rime».

«Credo che sarebbe opportuno tentare», disse Burbank.

«Mi scusi, ma è già stato tentato. La prima installazione su Venus Equilateral era fatta così. Non funzionava, anche se usavamo più energia di tutti i nostri trasmettitori differenziati messi insieme. Mi dispiace».

«Non ha niente da riferire?» chiese Burbank a Channing.

«Niente. Ho avuto fin troppo da fare con le difficoltà per mantenere centrati i raggi».

Burbank non disse niente. Era stato bloccato. Si augurava che il segreto del suo fiasco non fosse noto a tutti, ma sapeva che quando trecento uomini sono al corrente di qualcosa d'interessante, è inevitabile che alcuni di loro facciano in modo d'informare tutti gli altri. Guardò le facce dei presenti e constatò che avevano tutte un'espressione d'ilarità repressa. Burbank rabbrividì di rabbia. Ma era un buon giocatore e non lo diede a vedere.

Passò ad altri problemi. Qualcuno lo appianò, altri li accantonò per il momento. Burbank era un efficiente uomo d'affari. Ma come tanti uomini d'affari, aveva la ferrea convinzione che, se avesse avuto il tempo per farlo e fosse stato libero dalle preoccupazioni e dal lavoro burocratico della sua posizione, avrebbe potuto entrare in laboratorio e. mostrare agli ingegneri come si faceva per mandare avanti tutto alla perfezione. S'infuriava ogni volta che vedeva qualcuno degli ingegneri starsene in ozio con le mani intrecciate dietro la testa, sperduto nel mondo irreale del pensiero. Sebbene sapesse che non era opportuno, spesso provava la tentazione di fare una scenata, perché quell'individuo evidentemente poltriva.

Ma una cosa bisognava ammetterla. Le questioni d'affari sapeva trattarle alla perfezione. Nonostante il pasticcio che aveva combinato con il controllo del raggio, aveva reagito benissimo e aveva appianato tutte le proteste che erano fioccate. Le aveva appianate con soddisfazione delle parti lese nonché della Commissione delle Comunicazioni Interplanetarie, sempre interessatissima a tutto ciò che costava denaro.

Burbank dichiarò chiusa la riunione e continuò a riflettere. E assunse la stessa posa che lo faceva infuriare nei suoi subordinati: mani intrecciate dietro la testa, piedi sulla scrivania.

La sala del cinema era buia. Il protagonista tese ardentemente le braccia alla protagonista, e ci fu una sorta di attrazione magnetica. Si avvicinarono l'uno all'altra. Ma la scintilla non scoccò. Venne oscurata da un'opportuna inquadratura nera che dilagò dallo schermo e diffuse il buio nel cinema. Nella tenebra che segui, risuonarono parecchi baci più personali e soddisfacenti di quello censurato sullo schermo. Le luci si riaccesero e molte teste si separarono in gran fretta. Molte labbra femminili sorrisero. Alcune si schiusero per parlare.

Un paio di quelle labbra femminili disse: «Oh, Mr. Channing!»

«Zitta, Arden», sibilò lui. «La gente penserà che ti stavo baciando».

«Se era qualcun altro che approfittava della situazione», disse lei, «sei stato fregato. Io credevo di baciare te, e andavo a tutto gas!»

«Avevi mai provato quel sistema?» chiese Channing con vivo interesse.

«Perché?» chiese lei.

«A me è piaciuto. Solo, mi domandavo come mai, se hai provato con altri uomini, ancora non ti sei sposata».

«Sono morti tutti dopo la prima applicazione», disse lei. «Non hanno resistito».

«Al tempo! Ho capito. Sono il primo a sopravvivere, eh?» Channing sbadigliò voluttuosamente.

«È la compagnia o l'ora a causare questa reazione?» domandò Arden.

«Nessuna delle due», disse lui. «Vieni, andiamo a farci una bottiglia di birra. Sono disidratato».

«Io ho un po' di mal di testa», disse lei. «Non so perché».

«Io non ho il mal di testa, ma sono un po' intontito».

«Che cosa hai combinato?» domandò Arden. «Non ti ho visto per un paio di giorni».

«Niente d'importante. Un paio di giorni fa ho avuto un'idea e ho cominciato a lavorarci».

«Non avrai fatto gli straordinari o saltato la colazione?»

«No».

«Allora non capisco perché stai male. Il mio mal di testa posso spiegarlo: è dovuto all'affaticamento della vista. Da quando è arrivato il Genio e ha cominciato a censurare all'osso i film, le inquadrature saltano dall'una all'altra troppo in fretta. Ma l'affaticamento della vista non crea autointossicazione. Dunque, mio caro, che cosa hai bevuto?»

«Niente che non abbia bevuto dopo essere arrivato alla seconda bottiglia, qualche anno addietro».

«Non è che soffri dei postumi della sbronza che hai preso un paio di settimane fa?»

«No. Ho smesso. Non cercherò mai più di bere un litro intero di Two Moons in una serata. Mi ha steso».

«Ti ha steso per un paio di giorni», disse Arden. «Tutto da solo».

Don Channing non disse niente. Ricordava fin troppo bene i giramenti di stomaco che l'avevano tormentato dopo lo scontro con l'unico avversario che non era mai riuscito a battere: il buon vecchio whisky.

«Come va con Burbank?» chiese Arden. «Non l'ho più sentito delirare da... beh, dalla riunione di lunedì mattina. Tre giorni senza una scenata del Nostro Capo Supremo. È un primato».

«Dobbiamo dare al diavolo quel che è del diavolo: era troppo occupato a placare gli utenti inferociti. L'ultima sconfitta con il controllo del raggio lo ha gelato come un inverno moscovita. Le sue riforme si sono arrestate, mentre lui era in trincea. Ma se l'è cavata magnificamente. Certo, è stato aiutato dal fatto che, anche se il servizio ha fatto schifo per qualche ora, gli utenti non potevano rivolgersi a un'altra compagnia per mettersi in comunicazione con gli altri pianeti».

«Qualcosa come: 'Dovete tenerci anche se facciamo pena?'»

«Infatti».

Channing aprì la porta del suo alloggio e Arden entrò. Channing la segui e poi si fermò di colpo.

«Santo cielo!» esclamò sgomento. «Se non sapessi...»

«Oh, Don! Che cosa c'è?»

«Non hai notato?» chiese lui. «Qui dentro c'è una puzza da pollaio!».

Arden fiutò l'aria. «Mi ricorda un topo morto». E sorrise. «Tratterrò il fiato. Farei qualunque sacrificio, pur di bere qualcosa».

«Non si tratta di questo. L'aria è purificata. Dovrebbe essere dolce come l'alito di un neonato».

«Bel neonato», zufolò Arden. «Che cosa ha bevuto?»

«Non certo succo di mucca. Quel che cercavo di farti capire è che qui dentro l'aria sembra non sia stata cambiata da nove settimane».

Channing andò alla presa d'aria e accese un fiammifero. La fiamma s'inclinò, guizzò e si spense.

«La presa d'aria funziona», disse Channing. «Forse sono io. Vai a prendere la bottiglia, amico: non fare attendere la signora».

Sbadigliò di nuovo, profondamente. Anche Arden sbadigliò, e il pensiero di loro due che richiavano di slogarsi le mascelle li fece ridere come due stupidi.

«Arden dividerò con te una bottiglia di birra, dopodiché ti accompagnerò a casa, ti darò il bacio della buonanotte e ti butterò dentro al tuo alloggio. Quindi tornerò qui e mi farò una solenne dormita!»

Arden trasse un respiro lungo e profondo. «D'accordo», disse. «Questa sera non ci vorrebbe molto a convincermi a dormire su questa poltrona».

«Oh, benissimo», esclamò Don. «Ci farei una bella figura con i vicini. Non ho nessuna intenzione di farmi costringere a un matrimonio forzato!»

«Non dire scemenze», fece Arden.

«A giudicare dalla tua espressione», disse Channing, «è appunto quello che avevi in mente. Io volevo soltanto farti passare l'idea».

«Non disturbarti», ribatté lei stizzita. «Non ho nessuna idea. Sono libera come te e intendo restare libera!»

Channing si alzò. «Così finiremo per litigare», commentò. «Alzati, Arden. Scuotiti».

Arden si alzò, si scosse, poi guardò Channing con una strana luce negli occhi. «Mi sento stordita», ammise. «E tutto mi esaspera».

Si passò una mano sugli occhi, stancamente. Poi, con uno sforzo visibile, si raddrizzò, parve liberarsi del malumore, sorrise a Channing e in meno di un minuto ritornò normale.

«Che cos'è?» chiese. «Anche tu ti senti strano?»

«Si!» rispose lui. «Non voglio la birra. Voglio dormire».

«Se Channing preferisce il sonno alla birra, allora sta male», disse Arden. «Su, amico, accompagnami a casa».

Si avviarono lentamente per il lungo corridoio, in silenzio, a braccetto, e quando arrivarono alla porta di Arden, il loro bacio della buonanotte fu privo di entusiasmo. «Ci vediamo domattina», disse Don.

Arden lo guardò. «È stato un po' insipido. Riproveremo... domani o la settimana prossima».

 

Il sonno di Don Channing fu turbato dai sogni. Aveva caldo. Nei sogni, era in una camera umida e soffocante, ed era costretto a respirare sempre la stessa aria stantia. Si svegliò coperto di sudore, debole e nauseato.

Si vesti alla meglio. Si fece la barba alla meno peggio. Il caffè era acido e insipido. Uscì di malumore dal suo alloggio e all'angolo del corridoio andò a sbattere addosso ad Arden.

«Salve», disse lei. «Mi sento schifosamente. Ma tu sei migliorato. O quel respiro appassionato è dovuto soltanto alla mancanza d'aria pura?».

«Diavolo! Ecco cos'è!» disse lui.

Consultò il suo cronometro che aveva una lancetta contasecondi. Si guardò intorno, vide un uomo che stava seduto su una panca, come se se la prendesse comoda mentre aspettava qualcuno, e mise in moto la lancetta. Cominciò a contare i respiri dell'uomo.

«Cosa succede?» chiese Arden. «Che cos'è? Perché sei tanto agitato? Ho detto qualcosa?»

«Si», rispose Channing dopo quindici secondi. «Quel tizio respira più di cinquanta volte al minuto! L'aria è satura di anidride carbonica. Vieni, Arden, muoviamoci!»

Channing arrivò in vista dell'ascensore con un vantaggio di parecchi metri sulla ragazza. L'aspettò, e salirono a tutta velocità. I minuti trascorsero, e tutti e due provarono l'impressione che il loro stomaco salisse: era dovuta all'abbassamento della gravità. Arden si premette le mani sul plesso solare, ridacchiando.

«Sei già stata altre volte su all'asse», disse Channing. «Ricorda: respiri lunghi e profondi».

L'acensore rallentò notevolmente prima di fermarsi. Un arresto normale li avrebbe catapultati contro il soffitto.

«Vieni», disse Channing. «Qui potremo andare più svelti!»

Alzò gli occhi verso la scaletta che portava al livello più interno. Strizzò l'occhio ad Arden e si lanciò, passando agilmente attraverso l'apertura». «Salta», ordinò. «Non fare le scale».

Arden saltò. Si innalzò nell'aria e, quando passò attraverso l'apertura, Channing l'afferrò per un braccio e la trattenne. «A questa velocità saresti arrivata dall'altra parte», le disse.

Arden guardò in su: a una sessantina di metri di distanza scorse la parete opposta.

Channing accese le luci. Erano in un locale lungo cento metri e con sessanta metri di diametro. «Siamo al centro della stazione», spiegò.

«Dietro quella paratia c'è la camera di compensazione. Dall'altra parte ci sono l'impianto dell'aria, i magazzini e diverse camere piene di macchinari. Vieni», disse.

La prese per mano e, con un calcio, si lanciò in una lunga rotta curva verso il lato opposto del cilindro interno. Arrivò alla paratia di fronte.

«Questo si che si chiama viaggiare», disse Arden. «Ma il mio stomaco fa le capriole ogni volta che attraversiamo il centro».

Channing azionò i comandi di un pesante portello. Attraversarono camere piene di macchinari e altre stipate fino al centro... stipate dalle pareti al centro di casse tenute ferme da molle. Vicino all'asse del cilindro, gli oggetti pesavano così poco che era necessario ricorrere a quel sistema per impedire che svolazzassero.

«Ho le vertigini», disse Arden.

«È l'alto contenuto di ossigeno», disse lui. «L'anidride carbonica è più pesante e scende. Inoltre, qui l'aria è più rarefatta perché la forza centrifuga tende a spedirla verso l'esterno. Siamo così abituati a stare 'giù' che qui, mezzo miglio più in alto — o meglio più al centro — fatichiamo a dire tecnicamente quello che vogliamo dire. Stai a vedere!»

Lasciò Arden e camminò rapidamente intorno all'interno del cilindro. Poco dopo, era in piedi sulle lastre d'acciaio, direttamente sopra la testa della ragazza. Lei guardò in su e scosse il capo.

«Il perché lo so», disse. «Ma mi fa venire egualmente le vertigini. Scendi di lì, o mi verrà la nausea».

Channing si tuffò dall'alto: in pratica, saltò verso l'alto rispetto alla propria posizione, sebbene lei Io vedesse sospeso dal soffitto a testa in giù. Fece un'elegante capriola a mezz'aria e atterrò agilmente accanto a lei. Immediatamente, per tutti e due, ogni cosa si raddrizzò.

Channing aprì la porta con la scritta IMPIANTO DELL'ARIA. Entrò, accese le luci e lanciò un grido di sbalordimento.

«Diavolo!» gemette.

Il locale era vuoto. Completamente vuoto. Assolutamente e irrevocabilmente vuoto. Oh, c'era un po' di terriccio in giro e qualche rottame negli angoli, e una serie di graffi sul pavimento indicava che l'impianto per l'aria era stato rimosso, pezzo per pezzo, attraverso un'altra porta in fondo.

«Cribbio!» urlò Don. «Ci hanno pugnalati alla schiena! Arden, corri alla telescrivente e... No, aspetta un momento. Prima dobbiamo scoprire qualcosa di più preciso!»

 

Tornarono al livello degli uffici a tempo di primato. Trovarono Burbank nel suo ufficio, sprofondato in poltrona e occupato a parlare per telefono.

Channing cercò d'interromperlo, ma Burbank alzò il naso dal telefono giusto il tempo sufficiente per ringhiare: «Non vede che sono occupato? Dove ha imparato l'educazione?»

Channing, che bolliva, imprecò tra sé. Sedette, fingendosi calmissimo e incrociò le mani sull'addome come la famosa statua del Buddha. Arden lo guardò e, nonostante il guaio in cui si trovavano, non seppe trattenere un risolino. Channing, alto, forte e dinoccolato, non somigliava molto alla figuretta grassoccia del Buddha seduto.

Passò un minuto.

Burbank riattaccò il telefono.

«Da dove prende l'aria Venus Equilateral?» chiese bruscamente Burbank.

«È quello che voglio sa...»

«Mi risponda, la prego. Sono preoccupato».

«Anch'io. Qualcosa...»

«Prima mi dica da dove prende l'aria pura Venus Equilateral».

«Dall'impianto dell'aria. E non...»

«Deve essercene più d'uno», disse pensieroso Burbank.

«Ce n'è uno solo».